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2/09/2022

“GRANDI DIMISSIONI”: COSA CERCANO I LAVORATORI VICENTINI?


L’Ufficio Studi di Cisl Vicenza ha condotto una ricerca su un campione di oltre 1.800 lavoratori vicentini.

Oltre il 44% ha già cambiato lavoro nell’ultimo anno o vorrebbe farlo entro 12 mesi,
e la percentuale sale al 63,1% tra i giovani. Le motivazioni e le tendenze alla base del fenomeno.

 

La ripresa autunnale sarà all’insegna di un mercato del lavoro estremamente fluido, con una percentuale altissima di addetti alla ricerca di un nuovo posto di lavoro - e non necessariamente nello stesso settore - proprio mentre moltissime imprese faticano a reperire le figure professionali di cui hanno necessità.

Per indagare le ragioni e le dinamiche alla base di questo fenomeno, attraverso il proprio Centro Studi Cisl Vicenza ha condotto una ricerca su un campione di oltre 1.800 lavoratori vicentini - utenti del Caf di Cisl Vicenza -, rappresentativi delle diverse fasce di età e di tutte le principali categorie professionali e tipologie di contratto.

«Il tema è complesso e allo stesso tempo di grande rilevanza - sottolinea Raffaele Consiglio, Segretario Generale Provinciale di Cisl Vicenza -, per questo abbiamo voluto affrontarlo a partire dai dati, realizzando una ricerca che per argomento e modalità di indagine rappresenta qualcosa di inedito, a livello provinciale e non solo».

 

Quasi 1 lavoratore vicentino su 2 vuole cambiare lavoro o lo ha appena cambiato

I numeri in effetti sono significativi: l’8,5% dei lavoratori vicentini interpellati ha già cambiato lavoro nel corso dell’ultimo anno (e la percentuale sale al 19% tra gli under 35), il 14,1% sta cercando un nuovo lavoro in modo attivo (19,9% tra gli under 35) e il 22,2% dichiara che è intenzionato a cambiare lavoro entro 12 mesi ma non ha ancora iniziato a cercare (24,2% tra gli under 35). Dunque complessivamente il 44,8% dei lavoratori ha già cambiato lavoro nell’ultimo anno o intende farlo a breve, e il dato arriva addirittura al 63,1% tra gli under 35: sembra dunque definitivamente tramontata la cultura che vedeva il lavoratore trascorrere tutta la propria vita professionale presso lo stesso datore di lavoro.

 

Quanto sono soddisfatti i vicentini del loro lavoro?

Alla base del fenomeno sembra esserci una certa insoddisfazione di fondo: solo il 20,8% del campione si dichiara “molto soddisfatto” del proprio lavoro (il 19,3% tra gli under 35) e il 49,8% è “abbastanza soddisfatto” (44,2%); mentre circa 1 lavoratore su 3 (29,4% la media e 36,5% per i giovani) risulta fondamentalmente insoddisfatto: il 22,9% è “poco soddisfatto” e il 6,5% non lo è “per nulla” (rispettivamente 28,8% e 7,7% tra gli under 35).

Oltre all’età, su questi giudizi sembra influire molto anche il settore di appartenenza: l’incidenza delle risposte “per nulla” e “poco soddisfatto” è più alta nel settore trasporti e magazzinaggio con il 35,6%, mentre è più bassa nel settore dell’istruzione (15,7%) e nella sanità e assistenza sociale (comunque con un non trascurabile 26%); anzi, a parte l’istruzione, tutti gli altri settori mostrano un livello di insoddisfazione superiore alla media.

In modo abbastanza coerente, i settori con maggiore volontà di cambiamento sono il commercio e i trasporti e magazzinaggio, rispettivamente con il 56% e il 52,4%, mentre i settori con minori volontà di cambiamento sono istruzione e pubblica amministrazione, rispettivamente con 81,8% e 73,6%.

 

Interscambio elevato tra i diversi settori

Un altro dato che fa riflettere è la percentuale mediamente elevata - tra quanti stanno cercando un nuovo lavoro o hanno intenzione di cercarlo - di lavoratori che intendono cambiare settore: mediamente si tratta del 45,6%. Agli estremi troviamo da un lato gli addetti ai servizi di informazione e comunicazione, dove l’85,7% vuole rimanere nello stesso ambito, dall’altro chi lavora come colf e badanti, con solo il 20% che intende proseguire a lavorare in questo campo; e poco superiori sono le percentuali nei servizi alle imprese (22,7%) e nella ricettività e ristorazione (42,9%): tutti ambiti in cui sono diffuse le forme contrattuali più “deboli”.

Il commercio arriva invece al 47,1%, mentre solo il 50% dei lavoratori vuole continuare nel proprio campo nelle attività immobiliari, nell’agricoltura e pesca e nella pubblica amministrazione; anche nel manifatturiero e nelle costruzioni rispettivamente solo il 64,2% e il 61,5% intende cercare lavoro nello stesso settore. E “fughe” importanti si osservano anche nella sanità e assistenza sociale e nell’istruzione, rispettivamente con un tasso di “fedeltà” pari al 58,1% e 54,5%.

L’incrocio tra i settori di provenienza e quelli di destinazione desiderati restituisce un quadro estremamente frastagliato, anche se in generale si nota una certa tendenza a convergere verso il manifatturiero.

 

Le motivazioni del cambiamento

Ma qual è la molla che spinge così tanti lavoratori a cercare un nuovo lavoro? Al primo posto spicca il salario (69,1% del totale e 67,4% per gli under 35%), seguito dalla possibilità di percorsi di crescita in azienda (rispettivamente 23,3% e 27,8%), la disponibilità di un orario flessibile (22,1% e 24,3%) e altri benefit aziendali (15,5% e 20,8%), un contratto più stabile (13,8% e 19,4%) o ancora l’offerta di percorsi di formazione aziendali (12,6% e 13,9% tra gli under 35) piuttosto che prestazioni integrative di welfare aziendale (7,6% e 11,1% tra i più giovani).

 

Lavorare di domenica e straordinari? Sì, ma…

Lo studio ha voluto quindi indagare anche la flessibilità dei lavorati, altro tema oggi di grande attualità.

Il 19,8% dei lavoratori dichiara di avere lavorato di domenica nell’ultimo mese (percentuale che sale al 25,5% tra gli under 35), a conferma della diffusione di un fenomeno che riguarda oggi molti settori: non solo la ricettività e ristorazione (dove i “sì” arrivano al 73,8%) ma naturalmente anche le attività artistiche e sportive, la sanità e l’assistenza sociale, il commercio, l’agricoltura, l’assistenza familiare, la logistica e pure i servizi alle imprese; percentuali non trascurabili si riscontrano anche tra i servizi di informazione, la pubblica amministrazione, le attività professionali, l’istruzione e le attività manifatturiere.

Tra quanti già lavorano di domenica, il 64,7% è disposto a continuare a farlo anche in futuro, ma la percentuale si riduce al 55,4% nel caso degli under 35.

Maggiore è invece la disponibilità a svolgere straordinari: si dichiara disponibile il 73,7% del campione e in questo caso non ci sono differenze generazionali significative (per gli under 35 il dato è al 74,7%).

Considerando complessivamente le risposte su lavoro domenicale e straordinari, emerge un indice di alta disponibilità pari al 53,2% dei lavoratori, media disponibilità per il 32,1% e bassa disponibilità per il 14,8%; considerando invece solo gli under 35, questi valori diventano rispettivamente il 48,2%, 33,7%, 18,1%.

 

Lo smart working piace ai vicentini

Infine, la ricerca ha indagato anche l’opinione dei lavoratori sullo smart working, che complessivamente è visto favorevolmente dal 53,7% (il 29% part time, il 24,7% anche full time). Com’era forse lecito aspettarsi, in questo caso sono i giovani a mostrare una maggiore propensione allo smart working: gli under 35 favorevoli sono il 69,9%, il 31,9% part time e ben il 38% anche full time.

 

Nuove esigenze e un rapporto da ripensare: il ruolo del sindacato

«Sappiamo che è un momento molto difficile per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro - sottolinea Raffaele Consiglio - tuttavia i dati che abbiamo raccolto dimostrano che non è il caso di abbandonarsi al catastrofismo o comunque ai giudizi troppo netti. Soffrono maggiormente quei settori in cui l’abuso di alcune forme di flessibilità incide negativamente sulla qualità del rapporto di lavoro e in generale sulla qualità di vita dei lavoratori, in media però i vicentini si dimostrano disponibili alla flessibilità e questo anche tra i giovani. I nostri dati smentiscono dunque certi ritratti che dipingono soprattutto le nuove generazioni come dei fannulloni. È vero però che soprattutto i più giovani sembrano manifestare esigenze diverse rispetto ai lavoratori di età più matura: sono più sensibili ad un migliore equilibrio tra la sfera lavorativa e quella personale e sono anche i più sensibili ai temi del welfare aziendale. Allo stesso tempo però i giovani dimostrano anche voglia di crescere: sono ad esempio quelli che danno più importanza, nella ricerca di un nuovo lavoro, alla possibilità di crescita professionale e di formazione. I nostri dati dimostrano l’importanza per le aziende di essere attrattive nei confronti dei giovani e anche noi come sindacato possiamo e dobbiamo rappresentare queste nuove istanze, esserne il portavoce in un dialogo costruttivo con i datori di lavoro, perché sappiamo che questo processo non è facile in una Paese in cui la classe dirigente ha un’età media ben oltre i 50 anni». 

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